A modo suo Carlo Meletti, primo tecnologo dell’INGV – sezione milanese, è un autore. La sua opera non è un romanzo o una canzone, ma una particolare mappa che copre l’intera Italia.
Si tratta di una mappa in cui non contano i confini tra le regioni e nemmeno quelli tra la terraferma e il mare, ma vengono presi in considerazioni altri parametri: i dati sulla pericolosità sismica del territorio.
La cosiddetta mappa di pericolosità sismica ci racconta qual è la probabilità che in un determinato punto del nostro Paese si verifichi un terremoto di una determinata entità.
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Innanzitutto cerchiamo di spiegare la differenza tra pericolosità, su cui si basa la mappa che avete realizzato, e il rischio.
Sono due cose diverse. Possiamo definire il rischio sismico come un valore che ci dice quali sono gli effetti del terremoto su un determinato territorio. Per fare questo, ovviamente, si devono prendere in considerazione molti fattori, come la presenza o meno di edifici e la loro vulnerabilità sismica, ma anche il loro ruolo strategico. In qualche modo, possiamo dire che il rischio è una valutazione economica dei danni che un evento sismico può causare sul patrimonio edilizio di un territorio, nonché una stima delle vittime attese.
La pericolosità, invece, è la probabilità che un terremoto avvenga. Per calcolarla si prendono in considerazione le informazioni storiche sul territorio, facendo riferimento al catalogo storico dei terremoti che ci dà informazioni dall’anno 1000 fino ai giorni nostri. Ma, ovviamente, si considerano anche le conoscenze scientifiche geologiche e sismologiche che si possono ricavare dall’analisi del territorio.
Il rischio dipende dalla pericolosità, ma facciamo un esempio per capire meglio. Una zona come la Pianura Padana può avere un rischio elevato perché è ricca di insediamenti produttivi, edifici e infrastrutture, pur avendo una bassa pericolosità sismica. Viceversa, un punto in mezzo al mare ha un basso rischio perché non ci sono insediamenti umani e un eventuale terremoto non farebbe danni a persone o cose. Ma quel punto in mezzo al mare può comunque avere un’alta pericolosità sismica, e cioé una elevata probabilità che si verifichi un terremoto.
Com’è stata realizzata la mappa di pericolosità?
L’Italia è stata divisa in una rete con le maglie di 5 chilometri di larghezza e in ogni ‘nodo’ – in totale sono più di 10 mila – si è andati ad effettuare un calcolo preciso della “Peak Ground Acceleration”, cioè l’accelerazione massima del suolo attesa con una certa probabilità nei prossimi anni. In base a questo parametro, la mappa divide il territorio in zone omogenee di pericolosità, in cui le aree con i valori di accelerazione più elevati sono quelle con la pericolosità più alta. Si tratta di dati fondamentali ai fini della progettazione degli edifici.
Dal punto di vista normativo, negli ultimi anni c’è stato un grande cambiamento. Fino al 2008 ogni Comune italiano era classificato in una delle quattro zone sismiche previste: dalla meno pericolosa (4) in termini sismici, alla più pericolosa (1). Dopo il lavoro dell’INGV per la realizzazione della mappa, le zone sismiche non costituiscono più un vincolo per l’edificazione (vengono solo mantenute per la gestione amministrativa del territorio), ma punto per punto del territorio italiano possiamo identificare quali sono i parametri che il progettista deve rispettare. Facciamo un esempio per capire meglio. Fino al 2008, un Comune grande come quello di Roma rientrava tutto in un’unica categoria. È evidente, però, che date le dimensioni, le considerazioni per un punto del centro storico e uno della zona litoranea, come Ostia, possono essere molto diverse. Ecco: la mappa ha permesso di mettere in evidenza queste differenze all’interno dei territori comunali.
Dal punto di vista della normativa quali altri parametri si prendono in considerazione?
Ovviamente, per quanto riguarda le norme edilizie tecniche per le costruzioni, la pericolosità non è l’unico fattore preso in considerazione dalla normativa, ma bisogna valutare il tipo di terreno su cui si vuole costruire, la topografia del territorio (è diverso costruire su di un pendio o in pianura) e anche che tipo di edificio si costruisce. Le norme tecniche per la costruzione introdotte nel 2008, e divenute definitivamente vincolanti dal 1 luglio 2009, dicono che nel caso di edifici strategici, come per esempio ospedali, caserme e scuole, non solo l’edificio deve essere in grado di resistere all’evento sismico in modo da salvare la vita di coloro che lo occupano, ma deve anche essere in grado di mantenere la propria funzionalità. Un ospedale o una caserma dei pompieri sono essenziali per fornire assistenza e intervento subito dopo il terremoto.
Un privato cittadino che volesse oggi costruire la propria abitazione, che tipo di garanzie ha che le norme tecniche per la costruzione vengano rispettate da progettista e costruttore?
Quando si vuole costruire in un Comune che rientra in zona 1 o 2, le zone sismiche che sono state mantenute da un punto di vista amministrativo, deve presentare il progetto al Genio Civile perché lo valuti. Solo in caso di parere positivo è possibile passare alla costruzione. In zona 3 e 4, si può iniziare a costruire anche prima di aver ricevuto il parere del Genio, che comunque procede con controlli a campione sulle domande presentate.
Dopo il terremoto che ha colpito L’Aquila si è anche parlato di un libretto, una specie di carta d’identità sismica della casa, che tenga in considerazione non solo la progettazione e la costruzione, ma anche tutti gli interventi successivi. Perché se è vero che è importante progettare e costruire bene, bisogna anche fare attenzione che gli interventi di ristrutturazione e modifica successivi non compromettano la performance dell’edificio.
(Marco Boscolo)