L’importanza della sismologia storica.

“Parlando di terremoti capita spesso di sentire parlare di ‘sismicità’, ma questo vuole semplicemente dire che in un determinato territorio avvengono dei terremoti. Quanti o quanto forti, questo il termine ‘sismicità’ non ce lo dice”.

Parole di Massimiliano Stucchi, dirigente di ricerca dell’INGV, sezione di Milano-Pavia, che sottolinea come quello che davvero conta è la pericolosità sismica.

“È un parametro quantificabile, anche se ne esistono diverse definizioni leggermente diverse. È comunque ciò di cui è più interessante parlare”.

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Il problema è che “la sismologia non è una scienza esatta”, come la fisica: facciamo cento volte l’esperimento in laboratorio e i risultati saranno sempre gli stessi. Per la sismologia, l’unico laboratorio è la Terra stessa e i dati si raccolgono soprattutto quando avvengono i terremoti, con tutto ciò che ne deriva. Ma il pianeta è un sistema complesso e del quale si sa ancora relativamente poco e “quello che fa oggi, non è detto che lo faccia identico domani”.

Visto che lei si occupa sia di pericolosità sismica, che di sismicità storica, ci può descrivere il rapporto tra Italia e terremoti?

Il nostro paese dal punto di vista sismico è un luogo un po’ particolare. Basta guardare una carta geografica: non ci sono tanti altri posti al mondo in cui troviamo una penisola così lunga che si infila dentro a un mare, com’è il caso dell’Italia e del Mediterraneo. Questa particolare situazione geodinamica è il risultato di azioni di distensione e compressione fra placche diverse. In particolare, l’Italia si trova sul margine tra due placche della litosfera terrestre, un margine molto complesso perché percorre grossomodo tutta la dorsale appenninica e poi l’arco alpino. La nostra penisola è il frutto di queste deformazioni e i terremoti sono la spia che ci sta a indicare che le placche non sono ferme ma si stanno muovendo. I terremoti in Italia ci sono sempre stati e ci saranno ancora per un bel po’: questa, nuda e cruda, è la situazione.

Per cercare di capire come proseguirà questa storia sismica, quanto è importante conoscere il passato?

Pensando alla scala temporale geologica, in realtà il passato sismico lo possiamo conoscere pochino: abbiamo fonti scritte che ci parlano di terremoti da poco più di un migliaio di anni. Questo periodo documentato possiamo considerarlo più ampio, se prendiamo in esame anche le fonti archeologiche. È chiaro, però, che sia dalle fonti scritte che da quelle archeologiche non si ricavano dati sismologici precisi. Per i periodi precedenti entrano in gioco gli studi di “paleo-sismologia”: ovvero si vanno ad indagare le tracce di forti terremoti del passato che sono ancora presenti sul terreno, almeno finché l’intervento dell’uomo – per un qualsiasi motivo – non le distrugge. Diciamo che, complessivamente, possiamo andare indietro di qualche migliaio di anni. Tutto questo è molto importante perché ci dà informazioni su eventi che non abbiamo potuto vedere con gli strumenti. Certo che per avere un quadro più preciso e completo sarebbe utile poter andare ancora più indietro nel tempo. Ma questo non è possibile.

Detto da un altro punto di vista. Una zona come la Grecia, dove avvengono molti più terremoti rispetto all’Italia, permette di conoscere meglio la situazione, perché ad ogni sisma si possono raccogliere dati utili. Lo svantaggio, ovviamente, è che più terremoti significa più disagio e tutto quello che ne consegue. Noi ne abbiamo un po’ meno, ma questo comporta anche una conoscenza minore.

Si dice che il terremoto più potente che è avvenuto in Italia (o almeno di cui abbiamo notizia) è stato quello di Messina del 1908. Come si fa a stabilire una cosa del genere?

L’energia – e non la potenza – di un terremoto si misura con la magnitudo, che è un concetto preso a prestito dall’astrofisica, campo nel quale se si vuole per esempio misurare la luminosità di una stella, non potendo andare a mettervi un sensore direttamente, ci si deve accontentare di una misura comparativa. Cioè se ne sceglie una come riferimento e si indicano le luminosità delle altre in riferimento a essa. Questo concetto si è sviluppato negli anni Trenta e viene utilizzato anche dai sismologi, perché anche noi non possiamo andare a mettere un sensore nel punto dove viene rilasciata l’energia sismica.

Per quanto riguarda le misure, bisogna anche dire che sono più precise per quanto riguarda il periodo nel quale si sono utilizzati gli strumenti di misurazione. Quindi, per il terremoto del 1908 abbiamo dei dati, meno precisi di quelli che possiamo avere oggi, ma che comunque ci permettono di dire qualcosa di concreto. Io non sono così convinto che quello di Messina nel 1908 sia stato il terremoto più forte che si è verificato, anche perché le misure contengono un margine di incertezza. Nella classe di quello di Messina ci sta sicuramente anche il terremoto di Catania e della Sicilia orientale del 1693 e quello del 1456 avvenuto in Molise e Campania.

Per il 1908 abbiamo detto che ci sono delle misure strumentali, meno precise di quelle che potremmo fare oggi, ma comunque abbiamo a disposizione dei dati. Negli altri casi citati, come si procede? Cioè, come si fa a stabilire che questi tre terremoti appartengono alla stessa classe?

Nel caso di terremoti come questi, avvenuti rispettivamente nel XVII e nel XV secolo quello che facciamo noi sismologi è di confrontare gli effetti della distruzione con quelli di altri terremoti più recenti di cui abbiamo a disposizione i dati strumentali. In pratica si prendono tutte le fonti storiche che si hanno a disposizione e si cerca di fare una distribuzione degli effetti. In questo modo è possibile arrivare con buona approssimazione ad assegnare un valore di magnitudo anche a quegli eventi sismici del passato di cui non dispongo di dati strumentali.

Questo ci aiuta solo a ricostruire la storia sismica del nostro territorio o ci dice qualcosa di più sul luogo in cui abitiamo?

Beh, per capire in che situazione ci troviamo, non basta la sismologia, ma ce lo dicono anche altre discipline. Per esempio la geologia, che studia le faglie, alcune note per essere attive ma che magari non hanno originato un terremoto negli ultimi cinquecento o mille anni. Questo ci fa supporre che prima o poi lo faranno, perché si stanno caricando di energia. Altre indicazioni ci arrivano dalle misure di deformazione. Quello che facciamo è piazzare dei sensori in diversi punti della superficie terrestre. Grazie alla tecnologia GPS riusciamo a sapere come e di quanto si stanno spostando. I fattori che ci aiutano a capire come si sta muovendo la nostra penisola e a darci un’idea di quello che ci dobbiamo aspettare sono tanti e quindi lo studio è complesso e abbraccia diversi aspetti diversi. I terremoti, poi, li possiamo classificare in diversi modelli a seconda della tipologia di sorgente, soprattutto considerando che tipo di faglie li hanno causati. In questo caso, però, gli esperti sono più i geologi che i sismologi.

Terremoto dell’Aquila: che cosa sappiamo?

Da prima del terremoto del 6 aprile 2009 si sapeva che era una zona in cui si erano già verificati molti terremoti, forse una delle zone in cui se ne sono verificati di più. Qui non mi riferisco esclusivamente all’Aquilano, ma a una zona che va da Norcia fino a sud di Avezzano. È una delle zone più attive, che ha rilasciato alcuni dei terremoti più forti del nostro paese. Si tratta, quindi, di una zona ad alta pericolosità sismica, dove ci possiamo aspettare scuotimenti più frequenti e più forti. La storia dei terremoti in questa zona è lunga e complessa. Ci sono terremoti che si sono verificati anche sui faglie diverse da quella che ha provocato l’evento dello scorso anno. C’è almeno un sisma che sembra parente molto stretto di quello attuale e che è avvenuto nel 1461. Dico sembra, perché confrontando la distribuzione dei danni di allora con quella di oggi – per quanto possiamo saperne – si vedono delle somiglianze notevoli. Questo però non deve far correre con la fantasia, perché fino all’altro giorno i geologi pensavano che su una stessa faglia il cosiddetto periodo di ritorno (il tempo medio di ricorrenza) fosse abbastanza lungo. Questo dipende dal fatto che le faglie non sono delle macchinette caricate a molla, per cui si possono comportare in maniera diversa. Sta di fatto che lì i terremoti ci sono stati sempre e parecchio. Il culmine di questa vicenda, da tenere presente in background, avvenne all’inizio del XVIII secolo. Nel 1703 ci furono due scosse molto forti, il 14 gennaio e il 2 febbraio, più alcune meno forti. La prima con epicentro nella zona di Norcia e la seconda sull’Aquila. Ecco: proviamo a immaginare due scosse come quella dello scorso anno, forse anche leggermente più forti, a distanza di tre settimane. Questa è una caratteristica del nostro paese, perché le faglie sono molto vicine e hanno strutture complicate, quindi può succedere che si verifichino terremoti in zone contigue in tempi ravvicinati, perché una faglia può causare il rilascio dell’energia di quell’altra. Questo succede non perché la seconda faglia decide di rilasciare un terremoto per simpatia, ma se ha accumulato energia può ricevere una specie di spinta dal terremoto provocato dalla prima. Ovviamente, se non ha accumulato energia, non rilascia niente.

Cosa vuol dire che una faglia accumula energia?

Immaginiamo di mettere un mattone in un sistema di forze che lo tirano ai due capi. In questo modo stiamo simulando proprio quello che è successo nell’aquilano. Da fuori non notiamo nulla, ma se potessimo osservare quello che accade all’interno del mattone, vedremmo che la tensione aumenta, fino al punto di rottura. Questo significa l’accumulo di deformazione. L’energia con cui il mattone è tirato dai lati va a finire in deformazione. Quando il mattone non ne può più, si rompe e rilascia tutta l’energia e si verifica il terremoto. L’energia è rilasciata sotto forma di onde che quando arrivano in superficie scuotono la superficie stessa.

A proposito dell’Aquila, che cosa non le è piaciuto di quello che si è visto sui mezzi di comunicazione?

Dal giorno stesso su tutti i media si è andati alla ricerca dell’untore, per così dire, mentre non ci si è preoccupati di parlare delle cause vere del sisma e della mancata prevenzione. Si è semplicemente andati alla caccia di qualcuno cui attribuire la colpa o una parte della colpa. La verità è che nel nostro paese si costruisce male, negli anni Sessanta e Settanta in modo particolare: la casa dello studente, tanto per fare un esempio. E i controlli praticamente non ci sono. Qui si tratta di un problema di mentalità generale che non è adeguata al tipo di problemi che un paese deve affrontare.

(Marco Boscolo)