
Nel nostro paese, non sono solo l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) e il Dipartimento Nazionale di Protezione Civile a occuparsi del rischio sismico.
Lo fa anche l’Istituto Nazionale di Oceanografia e Geofisica Sperimentale (INOGS), dove lavora la ricercatrice Laura Peruzza, che con semplicità dice che il proprio istituto si occupa di “terra e mare”.
Geologa di formazione, si è occupata soprattutto di pericolosità sismica, ovvero di quegli studi che trasformano le conoscenze sulle caratteristiche sismogeniche di un territorio in parametri utili soprattutto a fini ingegneristici.
Leggi l'intervista
EDURISK è un progetto che si occupa della prevenzione del rischio sismico, ma pensare a “prevenzione” e “terremoto” nella stessa frase può sembrare strano, soprattutto per chi non è un esperto del settore. Che cosa vuol dire fare prevenzione del rischio sismico?
In realtà si tratta di un concetto non troppo diverso da quello che usiamo quando ci riferiamo alla salute. Nel caso degli eventi sismici, prevenire significa adottare una serie di comportamenti e accorgimenti che permettono di evitare, o per lo meno di limitare, conseguenze dannose nel momento in cui, proprio come una malattia, dovesse verificarsi un terremoto. Nel nostro paese, questo concetto è sempre passato attraverso la normativa sismica, cioè un insieme di leggi che definiscono il livello di pericolosità di ogni singolo comune del territorio nazionale e le misure precauzionali che devono essere prese quando si costruisce o si fanno degli interventi sugli edifici esistenti.
Ma la prevenzione di cui si occupa EDURISK è solamente questa, legata a temi tecnici?
Certo che no. Con il progetto EDURISK abbiamo deciso di investire in un programma educativo e culturale, più che in attività strettamente ingegneristiche. Abbiamo fatto questa scelta proprio perché in Italia abbiamo una percezione dei terremoti molto erronea. Partendo dal ragionamento che le leggi, come per esempio la normativa sismica, ci sono e se fossero applicate correttamente ci darebbero la possibilità di vivere in un posto sicuro anche in caso di terremoti, ci rendiamo conto quotidianamente che quelle stesse leggi vengono disattese. Guardando ancora più in profondità, possiamo dire che nel comune sentire il terremoto non viene percepito come uno dei fenomeni naturali a quali siamo esposti. Per cercare di modificare questa situazione, EDURISK ha deciso di investire soprattutto nelle nuove generazioni, attraverso azioni di divulgazione della conoscenza dei terremoti e tutto quello che comportano per diffondere l’idea che le leggi, cioè la normativa sismica, va applicata perché è giusto così.
Per associazione di idee, oltre a educazione e diffusione della cultura, una parola che viene subito in mente e potrebbe fare da comune denominatore a tutto questo ragionamento potrebbe essere ‘consapevolezza’?
Sicuramente, la consapevolezza è importante. Per spiegare quello che intendo, mi piace fare un esempio tratto da un comportamento quotidiano molto semplice. Se vivessimo in un paese in cui piove spesso, magari tutti i giorni, non troveremmo per nulla strano portare con noi l’ombrello e attrezzarci con una giacca impermeabile. Si tratterebbe di una normale contromisura alle condizioni dell’ambiente in cui viviamo. Nel caso di gran parte del territorio italiano, naturalmente soggetto a terremoti medio-forti, anche se non particolarmente frequenti, dovrebbe essere naturale comportarsi in un determinato modo, cioè adottare una serie di accorgimenti che permettono di salvaguardare le cose e la vita delle persone al meglio.
Andando sul concreto, cosa vi aspettate che producano le vostre azione di divulgazione e diffusione di una cultura del terremoto nelle scuole?
La nostra speranza è che le indicazioni che EDURISK cerca di passare ai ragazzi e agli insegnanti possano contribuire a ridurre gli impatti di un eventuale terremoto futuro. Andando sullo specifico, possiamo dividere i comportamenti in due categorie principali. Ci sono le cose da fare nel momento in cui il terremoto avviene. Siccome non è un’esperienza che facciamo frequentemente, e magari la maggior parte di noi non la farà mai nel corso della propria vita, è importante essere mentalmente pronti a comportarsi in modo corretto. Questa preparazione mentale è uno dei meccanismi che permette di salvare delle vite. È per questo motivo che nelle scuole invitiamo gli insegnanti a fare delle esercitazioni di evacuazione dell’edificio, a identificare assieme ai ragazzi quali sono i punti sicuri dove ci si può rifugiare e i luoghi in cui radunarsi dopo le scosse. Le indicazioni sono tutte molto semplici, come per esempio rifugiarsi sotto il banco oppure agganciare al muro le librerie e i mobili pesanti, in modo che non crollino addosso alle persone in caso di terremoto. Tutto questo si dovrebbe svolgere sullo sfondo di una sensibilizzazione generale della popolazione sulla necessità di vivere, andare a scuola e lavorare in strutture sismicamente resistenti e possibilmente in contesti urbani che non presentino pericoli aggiuntivi. In poche parole la cultura e l’educazione che sono necessarie si traducono in una conoscenza del territorio e degli ambienti in cui si vive. Ecco che ritorna l’idea di consapevolezza.
In questi anni in cui il progetto EDURISK ha girato l’Italia, quante persone siete riusciti a contattare?
Il progetto è partito nell’anno scolastico 2002-2003, con un programma sperimentale e con un obiettivo piuttosto limitato. Abbiamo coinvolto quindici istituti comprensivi (dalla materna alle secondarie di primo grado), distribuiti su tre regioni con esperienze sismiche diverse. C’era il Friuli-Venezia Giulia che aveva memoria abbastanza recente di un terremoto distruttivo, quello che nel 1976 colpì la zona a nord di Udine, tra Gemona e Osoppo. C’era l’Emilia-Romagna, una regione abituata a sentire spesso piccole scosse sismiche, ma senza che abbiano effetti distruttivi significativi. Infine, avevamo coinvolto la Calabria, all’altro capo del Paese, il cui territorio è stato colpito da alcuni tra i terremoti più forti che si sono verificati in Italia. A fianco di questi grandi eventi distruttivi, però, ci sono pochissime scosse a bassa energia, per cui la popolazione calabrese ha generalmente scarsa percezione del rischio sismico. Gli insegnanti coinvolti allora erano circa duecento. Oggi, a distanza di sette anni, sono dieci volte tanti – circa 2700 insegnanti e quasi 45.000 alunni – e l’esperienza si è allagata a molte altre regioni (come si può vedere dalla mappa). Se poi facciamo un conto approssimativo, attribuendo a ogni docente circa 20/25 alunni, il numero delle persone che hanno avuto contatti diretti o indiretti con il progetto diventa davvero significativo. Si tratta di contatti che durano nel tempo, perché gli insegnanti hanno tutto l’interesse di portare avanti un discorso con un respiro pluriennale. Quello che abbiamo proposto non era un intervento in classe sporadico da parte dello scienziato, ma un percorso didattico in una prospettiva più ampia. Talvolta noi stessi siamo rimasti sorpresi, perché all’interno delle scuole il coinvolgimento degli insegnanti si è allargato in modo spontaneo e naturale in un’ottica transdisciplinare. La partecipazione degli insegnanti di area umanistica, in alcuni casi, ha significato un recupero della storia locale o un’analisi di tradizioni religiose locali legate ai terremoti. Questi programmi, così multidisciplinari si sono tradotti in un radicamento al territorio che ai fini della diffusione di quella cultura di cui abbiamo parlato noi riteniamo essere un valore aggiunto molto importante. Il fatto è che finché il terremoto avviene lontano, in luoghi come Haiti, il Cile o Sumatra, per quanto la televisione ci mostri le immagini, ci troviamo sempre di fronte a un’esperienza mediata. Una cosa completamente diversa è calare le informazioni sul rischio sismico sul proprio territorio, prendendo consapevolezza del luogo in cui si vive.
(Marco Boscolo)